istituto tecnico economico statale "gaetano filangieri" formia-italy       |      dirigente scolastico prof.ssa rossella monti      |      redazione: Sara Galise - Annarita Ferrandino - Maria Luigia Belcore - Federica Lops - Francesca Cannella - Federica De Meo - Stefano Pirro - Maria Tibaldi - Giovanna Sfavillante      |      vignettisti: Andrea Ritondale - Luca Iaquinta

Tematiche

  L'OMOFOBIA  a cura di Sara Galise

Parte 1^.
Omofobia è un termine utilizzato per indicare la paura nei confronti di persone dello stesso sesso, ovvero è la paura del diverso che porta a escludere e a disprezzare le persone omosessuali arrivando anche ad atti di violenza. Questo timore comporta spesso atteggiamenti d’isolamento e di chiusura della persona gay per il non sentirsi accettata, oppure per il sentirsi “sbagliata”, conseguenza dei pregiudizi e degli atteggiamenti negativi che si assumono nei suoi confronti. La convinzione degli omofobi che il mondo sia eterosessuale, in cui è normale avere un partner solo del sesso opposto genera la prima forma di eterosessismo. L’omosessuale è per questo esposto a molestie verbali e fisiche, minacce e opinioni discriminatorie che creano invece disagio e violenza per colui che le subisce.
Capita che il disgusto e l’avversione degli altri contro se stessi sfoci in un’omofobia interiorizzata, in cui l’omosessuale diventa egli stesso omofobo, poiché nega, in modo inconscio il proprio orientamento sessuale come “diverso” dalla “normalità”.
Ciò è dovuto non solo dall’ignoranza della società ma anche dalla mancanza del supporto familiare in chiave socio-affettivo, in quanto, spesso, già in esso non si viene accettati.
Ritengo, a questo punto, che l’omofobia si mostri come una vera e propria regressione culturale della società, la quale giudica l’individuo solo in base al suo orientamento sessuale.
Un giudizio che, molto probabilmente, deriva anche dalla mancanza di conoscenza del fenomeno e del diretto confronto, attraverso i quali, invece, si potrebbe comprendere l’ingiustizia della “non accettazione” dei gay. Spesso sono respinti dalla stessa famiglia, impossibilitati ad esprimere in modo disinvolto i propri gusti, i propri sentimenti, e le proprie emozioni. La stessa avanza proposte indecenti come quelle di cambiare o magari seguire un percorso medico-psichiatrico di cura, causa il pregiudizio incondizionato degli omofobi verso gli omosessuali.


     Parte 2^
                                                   Continua da parte 1^  a cura di Sara Galise
Per questi motivi non riescono a rapportarsi con le persone, soprattutto con quelle dello stesso sesso, proprio per la paura di quest’ultimi che gli omosessuali possano assumere comportamenti di adulazione, persuasione e soprattutto di corteggiamento nei loro confronti.
Capita anche che il provare loro stessi “disgusto” non sia fondato, ma solo un puro atteggiamento d’imitazione di altre persone appunto, per il timore di essere esclusi per la convinzione dell’esistenza di una diversità nell’orientamento sessuale.
La diffusione dell’omofobia quindi, può derivare anche dal grado di scolarizzazione del contesto sociale in cui si vive, oltre che dai messaggi trasmessi dai mass media e dall’influenza della religione.
Molte dottrine religiose sono omofobe nonostante professino la non violenza e l’eliminazione delle discriminazioni sociali. La loro è una presa di posizione ambigua e incoerente che implicitamente giustifica ed accetta le violenze contro gli omosessuali come anche contro le lesbiche, i transessuali e i bisessuali. Non a caso la chiesa è ritenuta la principale responsabile dell’omofobia, infatti il 22 settembre è stata organizzata dalle maggiori associazioni gay e lesbiche tedesche, a Berlino una manifestazione per protestare contro la visita papale. Bisogna aggiungere però che con l’aumento del numero delle richieste avanzate dai fedeli omosessuali, la chiesa cattolica italiana ha promosso iniziative contro l’omofobia così come anche il governo che promuove campagne di sensibilizzazione.
La certificazione dell’inesistenza dell’avversione nei confronti degli omosessuali è risultata visibile mediante l’incontro del Presidente Giorgio Napolitano con l’ex ministro delle pari opportunità Mara Carfagna, con una delegazione delle associazioni LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali) ed in cui si è affermato: “l’omofobia non è soltanto la causa delle associazioni degli omosessuali, così come la causa dei diritti delle donne non è solo la causa delle associazioni delle donne.
E' una causa comune, è una causa generale, è una questione di principio, è una questione di fondamento costituzionale". Dal 1990 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha istituito la giornata mondiale contro l’omofobia che si festeggia il 17 maggio, lo stesso giorno di ventuno anni fa in cui abrogò l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. Non è una malattia ma una semplice presa di posizione, l’omofobia non è altro che l’avversione immotivata, infondata e irrazionale verso le persone omosessuali e sinonimo di una disuguaglianza sociale dovuta dall’orientamento sessuale in quanto si tratta una vera e propria espressione di razzismo.

CAMBIAMO ARIA AL CLIMA! a cura di Federica De Meo

Molte città subiscono danni a causa dei continui cambiamenti climatici.

Cambiamenti causati dal riscaldamento globale, un problema che rischia di aggravarsi in futuro, per cui molte persone e associazioni stanno “misurando” quanto accade all’ambiente e come ciò si ripercuota anche sulle popolazioni.
Negli ultimi anni si è parlato abbastanza di varie catastrofi che sono successe, soprattutto dei cambiamenti continui delle temperature di zone climatiche che hanno raggiunto “alti gradi”, gli incendi che hanno devastato territori immensi, le inondazioni, periodi di siccità ai quali si succedeno periodi di piogge torrenziali.
Le città colpite stanno attivando metodi per ridurre le emissioni di anidride carbonica, risparmiare acqua, proteggere i sistemi di trasporto.
Questi danni provocati però hanno ripercussioni oltre che sull’ambiente anche sull’uomo, un esempio banale è quello delle temperature estremamente calde che causano danni fisici per lo più a persone anziane e bambini.
Diciamo che in ogni parte della terra la presenza e la diffusione delle malattie è per lo più dovuta al “tipo di clima”.
Molti dei problemi dovuti al cambiamento climatico potrebbero essere risolti tramite l’organizzazione di programmi a difesa dell’ambiente.
“Questo noi sappiamo: la Terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla Terra. Tutte le cose sono collegate tra loro come il sangue che unisce una famiglia. Non è stato l’uomo a tessere la tela della vita, egli ne è soltanto un filo. Qualunque cosa egli faccia alla tela, lo fa a se stesso”.
Finche siamo in tempo salvaguardiamo l’ambiente in tutti i suoi aspetti.

                                                             
 CITTA' PIU' SOSTENIBILI E MINOR  IMPATTO AMBIENTALE  a cura di Sara galise

Un impatto ambientale minore dovrebbe avvenire prima di ogni cosa per mezzo di città più sostenibili.


L’azione che esercita l’uomo sulla terra mediante l’immissione di sostanze tossiche nel suolo, nell’acqua e nell’aria ha prodotto il danneggiamento dell’equilibrio ecologico, alterandolo. Questo concetto è meglio conosciuto con il nome di Inquinamento al quale si cerca di porre rimedio prima che la situazione degeneri del tutto. Ci si è proposti di ridurre la crescita demografica, di diminuire le emissioni di gas serra, d’ incrementare il riciclaggio dei minerali, di sviluppare le fonti energetiche rinnovabili e di aumentare la produttività agricola. Il rispetto di questi principi potrà garantire uno sviluppo sostenibile ovvero, uno sviluppo che soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di soddisfare i propri. Il termine sostenibile deriva dal concetto di sostenibilità e cioè del tener conto di ciò che viene “dopo”. Quindi le relazioni fra le attività umane e la biosfera devono essere tali da permettere agli individui di soddisfare le proprie esigenze ma in modo che la pressione esercitata sulla natura stia entro determinati limiti per evitare la distruzione del pianeta. Negli ultimi anni ha suscitato interesse la pianificazione delle “eco-città”. Ne è un esempio quella di Dongtan da realizzare sull’isola cinese di Chongming, alla foce del fiume Yangtze. Il suo progetto prevede la costruzione di edifici ad alta efficienza energetica vicini fra loro per incoraggiare gli abitanti a spostarsi a piedi o se proprio non sia possibile, all’utilizzo di auto elettriche o a idrogeno. I residenti avrebbero inoltre mangiato solo cibo biologico. Questa città come tante altre non sono state ancora realizzate causa gli ingenti costi che si prevede per la costruzione. In quanto la maggioranza della popolazione vive ancora in città inquinanti già esistenti l’effetto sarebbe minimo su quello globale, sui consumi energetici e sulle emissioni. Ed ancora, la critica pensa che la progettazione delle “eco-città” abbia dato precedenza all’estetica piuttosto che ai bisogni reali. La soluzione però esiste ed è rappresentata dalla sostenibilità delle città stesse che dovranno cessare, però, di basarsi sul “business as usual”, cioè sul non far nulla per cambiare la situazione. Questo tipo di soluzione è migliore dal punto di vista economico, poiché una città sostenibile richiede finanziamenti meno cospicui rispetto a quelli delle eco-città, e permetterebbe anche di risparmiare grandi quantità di energia acqua e rifiuti.

Risparmiare energia

Le priorità per le città sono l’aumento dell’efficienza energetica e la riduzione delle emissioni di gas serra, con la finalità di evitare cambiamenti climatici catastrofici. Proprio a riguardo il C40 (gruppo al quale appartengono 59 grandi città che combattono il cambiamento climatico ) si sta impegnando a dotare i vecchi edifici di tecnologie per migliorare la loro efficienza energica, ad esempio sostituendo dei tetti tradizionali di catrame nero con superfici bianche che riflettono la luce solare oppure con pannelli solari termici per l’acqua calda. Per questi interventi il C40 ha stipulato un accordo con la Banca Mondiale per i finanziamenti necessari ai vari interventi di ristrutturazione. Oltre a ciò si potrebbe sostituire anche il classico sistema di trasporti con quello di auto elettriche, nonostante richiedano infrastrutture differenti che ne permettano la ricarica. Questa avviene grazie all’ausilio delle stazioni di servizio in cui si possono sostituire le batterie una volta cariche, progettate a Tokyo dall’azienda Better Place.
C’è da aggiungere che non è solo importante risparmiare l’energia e limitare le emissioni, ma anche diversificare le fonti di energia, infatti recentemente a New York è stato obbligatorio l’utilizzo di combustibili più leggeri che inquinano di meno.

Acqua e rifiuti

Nel progetto di rendere le città sostenibili rientrano i temi dell’acqua e dei rifiuti strettamente legati tra loro in quanto una efficiente gestione di scarichi e rifiuti garantisce la qualità delle acque. Perché piuttosto che smaltirli o riciclarli, i rifiuti potrebbero essere sfruttati per qualcosa di utile, come avviene in Cina, dove gli scarti dell’acido citrico vengono raccolti in serbatoi nei quali i microbi li trasformano in metano da bruciare per usi industriali e in un residuo solido convertibile in mangime per animali. In questo modo si creano nuove risorse naturali tagliando le emissioni di gas serra.
Così come la qualità dell’acqua anche la sua fornitura dovrà essere migliore. Questo obiettivo è raggiungibile rendendo la fornitura sostenibile, per garantire una disponibilità idrica anche in futuro nonostante oggi la si stia già spingendo ai limiti. Come soluzione il C40 ha elaborato delle pratiche che si basano sullo studio delle strategie già in atto in alcune città come Tokyo e Masdar negli Emirati Arabi (che non fa parte del C40). Tokyo è leader mondiale nel riparare le perdite della rete idrica nello stesso giorno in cui sono individuate, mentre Masdar si è distinta per un sistema già in uso che prevede la chiusura sistematica delle docce dopo pochi minuti e una rete di computer che rileva l’utente che consuma eccessivamente l’acqua.

Semplici rimedi

La sostenibilità delle città dipende dall’avanzata e dalla bassa tecnologia, come l’isolamento termico per migliorare l’efficienza energetica e dalle innovazioni amministrative come i corsi per formare gli amministratori di condominio nella gestione più ecologica degli edifici. Solo l’azione delle grandi città potrà persuadere i governi a incoraggiare su tutto il territorio nazionale l’uso di una maggiore efficienza energetica e quello di materiali da costruzione di lunga durata, perché sono proprio le persone a rendere una città sostenibile.


CAPITALISMO VS DEMOCRAZIA  a cura di Stefano Pirro
Negli ultimi tempi non si parla che della crisi mondiale, la situazione economica di tutte le nazioni del pianeta è incerta, non soltanto quella italiana. Proprio in questi giorni negli Stati Uniti e in Gran Bretagna imperversa un dibattito tra leader politici, della finanza e organismi accademici di ogni genere.

Il motivo? Il capitalismo!
L’insofferenza nei confronti del capitalismo è oramai diffusa anche negli Usa, il paese per antonomasia dove tutto è possibile, visto in passato come un luogo mitico dove gli individui possono arricchirsi smisuratamente senza troppi problemi.
Ebbene oggi nel paese storicamente più liberista del mondo vi è la metà dei cittadini a favore del mercato e delle sue “leggi”, ma vi è un 40 percento che invece si ritiene insoddisfatta, questa percentuale di delusi è formata principalmente da giovani e minoranze etniche.
Questo sfaldamento nella popolazione americana ha spinto autorità in materia finanziaria, quali il Financial Times, a domandarsi quale sarà il modello economico occidentale nei prossimi anni.
Tra le varie cause che sono state accuratamente scandagliate vi sono la globalizzazione e le riforme fiscali, che in America hanno favorito la concentrazione dei redditi e quindi il successivo e inevitabile impoverimento del ceto medio.
Si ragiona inoltre sugli eccessi del sistema finanziario che hanno portato il sistema creditizio sull’orlo di un baratro, facendo scattare meccanismi di arricchimento spropositati e mandando in impasse il sistema retributivo.
Tutto ciò è accaduto, a detta di molti, a causa dell’interpretazione troppo radicale del concetto di liberalismo economico e della mancanza dei controlli necessari.
Anche sulle probabili soluzioni ci sono opinioni discordanti, alcuni sostengono che occorra una rifondazione del capitalismo, mentre altri sostengono che bisogni soltanto introdurre delle correzioni all’attuale impianto senza metterlo in discussione sin dalle fondamenta.
Naturalmente i problemi causati dal capitalismo e dalla distribuzione della ricchezza in modo poco omogeneo non sono di origine recente, da anni ormai si parla della scomparsa del ceto medio; se ne parlava al tempo del crollo di una delle banche d’affari più potenti degli States (la Lehman Brothers), e se ne parla ancora adesso dopo la crisi dei paesi dell’eurozona.
Ormai per i paesi dell’occidente sembra imminente il divorzio tra capitalismo e democrazia, sebbene ci sia chi tende a minimizzare il problema affermando che in periodi di innovazioni sia normale; in effetti i precedenti sussistono, nell’800 con la rivoluzione industriale si verificò una situazione analoga, ovvero un marcato divario tra i redditi. Oggi naturalmente è tutto più complesso, in quanto le innovazioni di tipo informatico favoriscono un calo dei disoccupati.
Alla luce della soluzione attuale la domanda da porsi è solo una: i ricchi continueranno a diventare sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri?


I pericoli nascosti del touchscreen: dal “touch” al “ tunnel carpale”  a cura della Redazione

Il palmo della mano, sarebbe leso, secondo una nuova ricerca, e gravemente (!), da pc, telefoni mobili, tablet, laptop e netbook, sui quali l’interfaccia della scrittura a mano “digitata” (con forza fisica sulle tastiere) viene sostituita con quella digitale del “touch” o “multi-touch” (con tocchi sul display). Rischiamo allora! Rischia la nostra salute?
Secondo questa ricerca, realizzata da InfoWord, le piattaforme- interfacce touch, ma soprattutto quelle multi-touch portano a stressare i muscoli delle dita, a “storpiare” con le posture innaturali che si assumono con il corpo e la mano. Da qui conseguentemente che le tastiere virtuali risultano peggiori di quelle materiali.
Sapevamo già, anche da articoli pubblicati su questo sito, che i dispositivi digitali interattivi creano problemi alla salute e al comportamento, segnalando quello della lingua, soprattutto quelli “mobili”: questi ultimi sono addirittura più pericolosi di quelli “fissi” per dita, muscoli e tendini e comportamento mentale.
Infatti la situazione ergonomica è a dir poco preoccupante se pensiamo che i “micro-schermi” vengono usati in contesti completamente diversi dalla tradizionale combinazione di “sedia+scrivania+tastiera+mouse”, generando dannose posizioni del corpo. Gli smartphone, i tablet phone con schermi multi-toch, sistemi che sono definiti “all-in-one”, sono orientati in modo verticale e, molto spesso vengono utilizzano mentre si cammina o si è in piedi o mentre e si fa altre cose o magari alla guida di un’autovettura, sono dal punto di vista ergonomico quelli più preoccupanti. La posizione del “tocco” è innaturale e faticosa e delicata per il nostro sistema muscolare delle mani.
La ricerca specifica che l’angolo ideale di uso di schermi touch è di circa 30 gradi, ma ciò che destabilisce è che anche in questo caso, l’utente esercita una pressione sulla tastiera virtuale molto maggiore( 8 volte) di quella esercitata sulle tastiere fisiche, per la mancanza di feedback tattile. Ciò, l’ aggiunto sforzo sulle dita, polsi e gli avambracci, determina fenomeni degenerativi come la sindrome del “tunnel carpale” e la cosiddetta “tensione isometrica” che avviene di riflesso. Questa, portando l’utente a tenere le dita “in sospensione”, per alcuni secondi, sullo schermo e anticipando la necessità del tocco, crea, anche qui, problemi per i muscoli e i tendini delle mani oltre all’atteggiamento “mentale” , anch’esso “sospeso” ad attendere che l’operazione precedente si concluda.
Anche la vista ne risulta affaticata e stressata, se pensiamo ai piccolissimi caratteri che si visualizzano sui piccoli schermi del “mobile” anche se con risoluzioni sempre più definite("Full HD" 1920x1080 pixel), su un desktop/display di diagonale di circa 4 pollici.

Si riportano alcuni dati della ricerca:

……..Dopo decenni di ricerca sulle interazioni uomo-macchina, gli esperti medici hanno individuato tre categorie di malattie legate al computer sia in uso tradizionale PC la nuova classe di dispositivi touchscreen:
Ripetuti movimento lesioni. Comunemente noto come RSIs, per gli infortuni lo stress ripetitivo, questi disturbi derivano da ricorrenti movimenti di grandi o piccoli che interessano le articolazioni, muscoli, tendini e nervi. Ad esempio, persone che usano frequentemente i pollici al tipo di messaggi di testo sui cellulari a volte sviluppano la sindrome di de Quervain, un doloroso afflizione che coinvolge i tendini che spostare il pollice. Anche se il nesso di causalità pure non è stabilita come nei pazienti che soffrono di dolore da uso prolungato desktop tastiera, non c'è dubbio che il troppo zelante scrivere può causare dolore debilitante.
Malattie causate da posture innaturali e forze. Strettamente imparentato con braccioli, questi disturbi si verificano quando persone i loro corpi in modi che inducono stress fisico, come ad esempio le mani troppo lontano verso l'interno o verso l'esterno di ribaltamento mentre toccando o mettendo forza sulla loro polsi durante la digitazione. Sindrome del tunnel carpale, forse la malattia più conosciuta in questa categoria, il risultato di pressione sul nervo mediano nel polso.
L'affaticamento degli occhi. Lottando per leggere il monitor di computer, sia perché i personaggi e le immagini non sono chiari, o perché lo schermo è oscurato da abbagliamento o riflessioni, può causare problemi che danno dolori fastidiosi. Definiva "computer vision syndrome" da alcuni medici oculisti, sintomi includono dolore oculare o arrossamento, offuscata o visione doppia e mal di testa.
Molte persone sono anche preoccupati per le radiazioni emesse dal monitor CRT vecchio stile e le radio cellulari smartphone e alcune compresse, come pure le radio Wi-Fi in vari dispositivi. La ricerca qui è stato contraddittoria, anche se il rischio è probabilmente basso se si seguono linee guida i costruttori per uso sicuro. ..................

La proliferazione di touch screen fissi e mobili porterà, senza dubbio, a ulteriori ricerche per i potenziali rischi alla salute, ma ora dobbiamo essere consapevoli del fatto che i nuovi dispositivi non sono privi ne immuni da problemi, che a lungo hanno afflitto chi usava i computer tradizionali e che dovrebbero essere prese serie precauzioni per evitare rischi di salute a lungo termine. Il sito della ricerca offre una serie di consigli per meglio adoperare i dispositivi e per meglio difendersi preventivamente da danni alla salute.


I nativi digitali e il neolinguismo  letterario dei videogiochi. parte 1^    a cura di natale capodiferro

Nelle pagine di questo giornale abbiamo scritto tanti articoli pro e contro le nuove tecnologie e la perdita del nostro linguaggio ed altri ne scriveremo perché il tema è connaturato all’acquisizione delle problematiche dei ragazzi e perché sorgono spontanei tanti leciti interrogativi. Anche per chi, come noi, insegna.
La base comunicativa per i ragazzi nati dopo gli anni ‘90 deve essere riaggiornata a quello che è ormai, comunemente riconosciuto, il primo codice comunicativo con cui vengono a contatto, come scrive Paolo Ferri- insegnante di New Media e Tecnologie Didattiche all’Università Bicocca di Milano. Quello che, appunto,  incontrano , sin da piccolissima età quando entrano in contatto con le pulsantiere digitali di elettrodomestici e dei comandi luci e riscaldamento, dei video-touch-citofoni ma soprattutto con i pc, i tablet, i telefoni mobili o meglio gli smartphone.  I nativi digitali, dunque.
Ma chi sono i nativi digitali o digital natives o born natives o born digitals?  Lo spiega  Paolo Ferri, autore del saggio "Nativi digitali": “…. i bambini e i ragazzi nati negli anni 2000, quando la diffusione di Internet è diventata pervasiva. Questa generazione è diversa dai cosiddetti immigranti digitali (anche dai giovani che oggi hanno 18 anni) perché è la prima a manifestare un uso della Rete "social" (o 2.0), ha da subito confidenza con gli schermi interattivi (che sollecitano un apprendimento attraverso il "fare", più che attraverso l'"ascolto o la lettura") e si interfaccia con software che richiedono compiti cognitivi formalizzati già in età prescolare. Con evidenti ricadute psicologiche e pedagogiche che la rende davvero diversa rispetto alle generazioni che l'hanno preceduta…..”
Ma se è vero che il “fare” è importante, ancor più importante è "come arrivare al fare", senza essere indotti a farlo dalle circostanze tecnologiche presenti nell’ intorno del bambino. Non è vero allora che cresce quando si impossessa degli oggetti e gli esamina e  anche quando li usa in maniera errata, facendo sì da aumentare la propria autostima e forza nella conoscenza della realtà circostante, aiutato in questo anche dai genitori.
Anche se non mancano voci contrapposte sulla vera esigenza di “datare” questa nuova generazione definita “nativi” puri,  differenziandola da noi “immigranti” e dagli studenti come “nativi spuri” , cionondimeno è interessante e intrigante la teoria del “fare” che sviluppa  il nativo come costruzione del “se”.
In particolare relazione ai videogiochi, in tutti i media possibili e immaginabili,  Ferri pensa che  giocare” significhi sviluppare la “capacità di porsi obiettivi, di raggiungerli, di imparare a cooperare(online), sperimentando ruoli differenti .
E davanti al gioco, dove è solo o spesso è lasciato solo, pur essendo vero che, al momento in cui capisce come si sviluppa il gioco, inizia a porsi degli obiettivi e  questi vengono finalizzati a quel gioco, che per quanto sia vero è pur sempre dettato dall’immaginazione e, se coopera e interagisce, lo fa in uno spazio virtuale, non in quello reale.
Diverso è caso in cui, molto probabilmente, l’autore vuole dirci che la storia  raccontata nei videogiochi, attraverso una presunta “articolazione narrativa”, è allo stesso modo “costruttiva” come un racconto di narrativa letteraria od altro. Tom Bissell-scrittore e creatore di videogiochi americano, afferma tale concetto, adducendo  inoltre  che  le storie dei videogiochi sono una nuova forma di narrativa i cui principi non sono stati ancora del tutto compresi e che gli obiettivi vengono diretti a storie vere arricchite da elementi di gioco.
Parrà strano, ma come il bambino impara rielaborando sull’esperienza fatta e come  la storia narrata esercita in lui lo stimolo all’immaginazione, i giochi, pur  avendo delle variabili,  sempre finite però,      non possono sostituirsi  completamente alla personale rielaborazione del bambino. Il gioco, ripetuto,  indirizza  in tutte quelle che sono le sue varianti ma limita in questo caso fortemente le possibilità di spaziare del bambino. Diversamente da quanto si pensi comunemente, i pensieri non sono espressi in parole o in sillabe o vocali o consonanti, ma attraverso immagini che si formano nel cervello e queste non possono essere limitate da bivi o soluzioni.
È chiaro che i giochi futuri saranno sempre più avanzati ma è altrettanto importante che i videogiochi vengano  interpretati oggi, come domani, come un mezzo per arrivare a .... e non un finito narrativo da cui non si esce se non con una soluzione o diverse varianti. Sarebbe oltremodo limitante.
Non c’è nulla di male ad ammettere che anche i videogiochi “educano” così come appare oggi il complesso multimediale messo a disposizione ma non sembrerebbe giusto attribuire  alle esperienze espedite dei giochi la complessa vicenda della educazione … to be continued


Un opinione su   LAVORO e SOCIAL FREEZING  a cura di Francesca Cannella 
  Il lavoro,si sa, è quello che oggi manca. Quello che dal nobilitare l’uomo è diventato un’esigenza e soprattutto un’emergenza. Sono sempre di meno oggi coloro che hanno il “privilegio” di avere un lavoro. Ma che dire del rapporto donna-lavoro? Bhè  si sa…come gli uomini spesso dicono “le donne hanno voluto la parità!”, soprattutto in questo campo e fanno di tutto per ottenere un lavoro e mantenerlo per sentirsi indipendenti e libere.
Ma sarà diventato un eccesso da parte delle donne questo voler lavorare? Non parliamo certo di quelle donne che lavorano per esigenze economiche, come oggi spesso succede..ma di quelle che antepongono o preferiscono la carriera alla famiglia..Quante sono? Davvero tante! Il sogno di sposarsi e di avere figli che fino a qualche tempo fa era l’aspirazione maggiore per una donna è stato sostituito dal sogno di fare carriera. Perche? Per dimostrare a tutti, specialmente agli uomini, le proprie capacita. Ma questo è sbagliato? Si può dire di no perché anche le donne hanno diritto a un lavoro in cui dimostrare la propria valenza. Ma ciò significa che la donna ha scelto di avere un ruolo secondario nella famiglia o che sia addirittura l’ultimo nella scala dei valori?..No!.. E’ proprio questo il problema. Molte donne  hanno dimenticato la gioia che avere una famiglia può dare dedicandosi del tutto al lavoro. Sarà per questo che continuano ad aumentare opportunità offerte dalla scienza per rimandare la gravidanza? Questo è proprio quello che permette il SOCIAL FREEZING ovvero il congelamento degli oviciti. Questo fenomeno, affermatosi da poco anche in Italia, sta riscontrando molto successo poiché, la possibilità alle donne di  congelare gli ovociti quando si è ancora giovani, come detto poco fa, e scongelarli in qualunque momento si voglia è un interessante variante al tema della situazione “famiglia”. Ma perché le donne lo scelgono? La risposta sta nella parola stessa “SOCIAL” freezing. La parola social indica che ciò che spinge le donne non sono ragioni mediche ma il semplice desiderio di scegliere comodamente quando avere un figlio. “Per una gravidanza c’è tempo!..prima il lavoro,la sistemazione, la carriera..poi un figlio!”. Questo è ciò che molte donne affermano e tante si dichiarano favorevoli al social freezing.  Con la scelta di usufruire del social freezing le donne, a mio parere, stanno dimostrando che non sanno più vedere la gravidanza come un dono ma come una libera scelta e un bene per appagare i propri desideri egoistici.


PARLIAMO SPESSO DEL MANGIAR SANO…. MA COSA E’ LA BIODIVERSITA’  a cura di Sara Galise

Il programma delle Nazioni Unite “Agenda 21”, dedica i capitoli che lo costituiscono a ciò che appare indispensabile per lo sviluppo sostenibile , prendendo in considerazione vari ambiti, uno tra i quali è la biodiversità. La biodiversità è un termine derivante dall’inglese “biodiversity” e traducibile in “varietà della vita”, con il quale si indica l’insieme di tutte le forme viventi geneticamente diverse, e degli ecosistemi ad esse correlati. Implica tutta la diversità biologica, o biodiversità di geni, specie (uomo compreso), habitat, ecosistemi e paesaggi, frutto del processo evolutivo che ha generato attraverso la selezione naturale, la grande varietà delle specie viventi animali e vegetali. Risulta quindi di rilevante importanza in quanto garantisce la sopravvivenza della vita sulla Terra. La biodiversità non deve essere solo considerata come il prodotto dei processi evolutivi, ma anche come elemento indispensabile all’evoluzione per compiere modificazioni morfologiche e genetiche. La varietà degli agroecosistemi, cioè la diversità genetica dei sistemi agricoli rappresenta l’agrobiodiversità che appartiene alla variabilità citata in precedenza.
Per biodiversità agricola s’intende più precisamente, il patrimonio di risorse genetiche vegetali, animali e microbiche formatesi dagli esordi dell’Agricoltura per effetto della selezione naturale, dei meccanismi biologici e dall’azione di generazioni di agricoltori e allevatori, che hanno ricavato da tutte le specie prodotti utili all’uomo.
L´agrobiodiversità è essenzialmente legata agli agroecosistemi, cioè agli ecosistemi naturali modificati dall´uomo al fine di renderli produttivi attraverso l´agricoltura. Purtroppo con il suo eccessivo intervento alcune specie si stanno estinguendo e la loro perdita determina anche la scomparsa di sapori antichi e autentici legati al territorio e alla cultura dell’uomo. Solo mediante la lungimiranza ciò potrà non avvenire. La conservazione della diversità biologica è uno dei tre obiettivi della convenzione sulla Diversità Biologica del 1992, insieme all’uso sostenibile della biodiversità, e la giusta ed equa divisione dei benefici dell’utilizzo delle risorse genetiche. La conservazione della biodiversità può essere:
• Situ, cioè la conservazione avviene nell’ambiente naturale in cui le specie vivono per mezzo di attività e politiche riguardanti la gestione della fauna e della flora. Per quanto riguarda, invece, la gestione delle risorse genetiche destinate all’alimentazione, esse dovranno essere on farm ovvero, la conservazione in situ dovrà avvenire direttamente nelle aziende che le hanno custodite sino ad oggi;
• Ex situ, cioè la conservazione non avviene nell’ambiente naturale o di adattamento, in quanto prende luogo nelle banche germoplasma dei centri di ricerca, negli arboreti, negli orti botanici, nei campi catalogo, zoo ed acquari.
L’uso sostenibile della biodiversità si fonda sui valori ambientali, economici e socio-culturali, che derivano da un’eredità contadina e artigiana, ricca e complessa formatasi nel tempo con la determinazione di una varietà di saperi e sapori. Affinché la gestione di una risorsa sia durevole è necessario che ogni valore sia rispettato.
La giusta ed equa divisione dei benefici dell’utilizzo delle risorse genetiche può essere resa possibile per mezzo di un giusto accesso, soprattutto riguardo alle risorse alimentari, e dal trasferimento delle tecnologie necessarie dai Paesi progrediti verso quelli più poveri.
La conservazione della varietà fruttifera e della carne di razze autoctone è un incentivo per la salvaguardia dell’intero patrimonio, in quanto la Terra ha un carattere interdipendente. La sua attuazione realizzata mediante la Convenzione sulla Diversità Biologica, è garantita dalla metodologia applicata, ossia dall’innovazione di un elaborato approccio “ecosistemico”.

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